martedì 3 giugno 2008

Mondovino, l’egemonia di Mondavi


Ammetto di essere in ritardo qualche anno per una recensione su questo film-documentario, presentato a Cannes nel 2004 e uscito nelle sale l’anno successivo, ma colgo l’infausta occasione della scomparsa di Robert Mondavi per consigliarne la visione (dura più di 2 ore) anche ai meno esperti di vino. Jonathan Nossiter non si dilunga in spiegazioni tecniche, anzi, con le sue riprese, fatte nel corso di 3 anni in viaggio tra Stati Uniti, Francia, Italia e Sudamerica, intervista lo sghignazzante Michel Rolland, l’enologo più richiesto al mondo; l’onnipotente Robert Parker, il critico che con i suoi giudizi regola il mercato vinicolo mondiale, e alcune delle cantine più importanti al mondo. Risalta così netta la differenza tra caparbi vigneron (tra cui il sardo Battista Columbu che fa la Malvasia di Bosa, Hubert de Montille a Volnay, Aimé Guilbert in Linguadoca, celebre per il suo Mas de Daumas Gassac) che mettono al primo posto l’importanza del terroir, il rispetto della cultura e della natura, contro il business e il marketing dei grandi gruppi come Mondavi con i loro vini tecnologicamente avanzati, forzati nel colore e nella concentrazione, che utilizzano microssigenazione e uso indiscriminato di barriques nuove. I primi difendono la propria tradizione e storia, i secondi, che di storia non ne hanno, cercano di comprarla, creando joint-venture con marchi storici come Frescobaldi, Antinori, chateau di Bordeaux e di Borgogna.
“Ci vuole un poeta per fare un grande vino.”… “I vini vanigliati sono peggiori della chirurgia plastica, perché questa ti lascia l'anima intatta; con gli aromi al contrario il vino perde l'anima.”

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